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INTERVISTA A VALERIO M. VISINTIN


Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio; prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori!”

Questo pezzo è tratto da Ratatouille, uno dei miei Disney preferiti. Il giornalista enogastronomico Anton Egò ha appena riscattato un ristorante da un giudizio negativo.

Il film è ambientato a fine anni ‘60,non c’erano food bloggers, non esisteva Tripadvisor. Il giornalismo gastronomico e le guide erano l’unico punto di riferimento per i clienti e gli addetti ai lavori.


Al di là delle opinioni di Anton Egò, che possono piacere o non piacere, vi chiederei di soffermarvi sulla sua prosa, sull’uso delle parole, le sensazioni che trasmettono, lo stile con cui scrive.


Fatto?

Fatto.


Corre l’anno 2021 i food bloggers riempiono le nostre giornate anche quando non vogliamo, i programmi televisivi su cibo e cucina vengono trasmessi prima e dopo i TG. Il giornalismo enogastronomico è spesso inefficace, rimpiazzato dalle marchette. Per andare a pranzare fuori ci si affida al passaparola di Tripadvisor. L’esperto ottiene accrediti dagli opinionisti sul divano.Valerio Massimo Visintin, stimato e odiato critico gastronomico, come Anton Egò, è tra i pochi sopravvissuti, il mestiere è in via di estinzione.


Il ristorante di altissimissima cucina Lo chef-star Tony Mona ha inaugurato da pochi giorni il suo nuovo ristorante: “La Broda”. Cucina soltanto brodi, rifacendosi ad antiche ricette ritrovate l’altro giorno negli scavi di Pompei. Nel menu del veglione, figurano piatti straordinari come la broda di cacio e pepe: uno spaghetto onorevole Leonarda Cianciulli con emulsione di cacio-pepe e sapone. Oppure il brodo di brodo: l’estrazione di una singola goccia di brodo, cotto sottovuoto a bassa temperatura.
Musica dal vivo: un duo di archi cotti sottovuoto a bassa temperatura. Prezzo: 1199, 99 euro, compreso calice di estratto di champagne (sottovuoto, a bassa temperatura, a forma di cubetto).
Il bistrot innovativo gourmet giovane contemporaneo Da “Esiziale”, ultima creatura dei giovani chef Memé Tapino e Marzia Funebre, ogni piatto è dedicato a un critico gastronomico. “Non sono solo amici, ma sono anche le nostre Muse”, dichiarano con feral fierezza. Il percorso (non chiamatelo menu!) del cenone non smentisce questa regola. Portata centrale, “L’incuneo retronasale del climax solipsista”, ricetta che interpreta in chiave gastronomica la prosa umile e chiarissima di Andrea Grignaffini. Musica in sottofondo: soundtrack della presentazione dell’ultima guida Michelin, cantata da Petra Loreggian, Marco Do e il “Coro delle prefiche stellate”.
Prezzo: mutuo agevolato per i clienti standard, gratis per critici e affini.

Questo era uno stralcio di un articolo di Valerio Massimo Visintin tratto dal Corriere della Sera del 30 dicembre scorso, leggetelo tutto perché è bello e fa ridere di gusto.




PER LA RUBRICA TALK OF FAME: VALERIO MASSIMO VISINTIN



Se conosci il suo nome e cognome ed è atteso a un appuntamento, a meno che tu non sia il suo medico di base, un suo stretto amico o un parente, lo vedrai così:





Giornalista, romanziere e autore, scrive per professione da una trentina di anni. Cura la rubrica del Corriere della Sera Mangiare a Milano ed è presente anche in altre testate. Insegnante di metodi di buona scrittura ed etica del mestiere di critico gastronomico, questa è la proposta del suo corso: SCRIVERE DI GUSTO


La grammatica di questo mestiere è articolata e complessa. Bisogna voler bene alle parole, calcolare il giusto distacco nei confronti delle materie e delle persone che sono oggetto del nostro giudizio, promettere e mantenere lealtà assoluta nei confronti dei lettori, praticare ogni giorno la disciplina del coraggio delle proprie opinioni. In questo corso cercheremo di insegnare l’etica oltre che la pratica di un mestiere bellissimo.

Io faccio parte del gruppo di persone che hanno profonda stima del Signor Visintin e del suo lavoro. Non vivo a Milano; eppure, leggo le sue recensioni da anni, non fruisco del suo servizio ma godo del beneficio della lettura degli articoli. Leggo per il gusto di leggere qualcosa di bello. Non è tutto: a volte sono così d’accordo con alcune sue prese di posizione che le ho fatte mie. Gli ho mandato una letterina, gli ho parlato un po’ di me e del progetto Madame No. Non sapevo come pormi nei suoi confronti, non è un caro amico, non ci siamo mai incontrati dal vivo, tutto ciò che io so di lui lo so attraverso Facebook, scritti online, la sua rubrica. Poi lo vedi in giro vestito da Zorro…

Mi sono messa nei suoi panni, ricevere una letterina da una sconosciuta, che ha un sito che propone servizi di scrittura ma le credenziali non sono verificabili perché usa uno pseudonimo, l’immagine mi ritrae in una forma che non mi rende riconoscibile. A modo mio mi travesto anch’io.


Ho scritto una letterina onesta, il più trasparente possibile, ho messo in chiaro il motivo del contatto, ho chiesto l’intervista e il beneficio di un suo consiglio, così come la trasposizione nella sua prosa che a me piace tanto. Ho rievocato gli eventi che mi hanno spinta ad aprire il sito, mi sono resa disponibile per rispondere a eventuali domande sul mio progetto e ho ringraziato per il suo tempo.

Perché racconto queste cose? Perché lo scopo è realizzare un buon lavoro, costruire un metodo, dare un consiglio, permettere una crescita. Raccontare di come ho approcciato il Signor Visintin mi pare pertinente nel caso in cui tu debba lavorare a una intervista.

La mia letterina ha avuto una risposta positiva, io ne sono rimasta contenta ma ero egualmente pronta anche a un fragoroso no. Quando interagiamo con qualcuno secondo me è importante avere sempre chiaro in mente che si è in due e la risposta dell’interlocutore non deve mai essere data per scontata e se si è attenti si apprende molto anche dai no.


Valerio Massimo Visintin – L'INTERVISTA


Per rompere il ghiaccio le domando subito di svelarci un po’ di pratica nel suo mestiere di critico: c’è una parte di preparazione prima della visita? Prende informazioni sulla storia del locale? Sulla proprietà? Sbircia il menù in anticipo o legge recensioni? (Glielo chiedo perché io farei così, io detesto le sorprese!)

Certo, mi documento. Ma senza esagerare, perché un eccesso di informazioni potrebbe sedimentare qualche pregiudizio. D’altra parte, avendo a disposizione una visita soltanto (raramente replico, per ragioni di tempo e di denaro), debbo pormi in condizione di trarre il maggior numero di indizi utili alla mia inchiesta. Indispensabile, quindi, una infarinatura preliminare.


Quanta importanza concede agli inviti degli uffici stampa?

Declino esplicitamente ogni invito, cercando di spiegare che faccio il giornalista, circostanza per la quale non posso accettare alcun genere di regalo o di offerta. E che, per di più, in quanto critico gastronomico sono tenuto a valutare i ristoranti in incognito, per ritrovarmi nei panni di un cliente qualsiasi. In caso contrario, non avrei niente di utile da riferire ai lettori. Inutile dire che davanti a questo mio diniego gli uffici stampa strabuzzano gli occhi, come parlassi un idioma misterioso e arcano.


Può dirci qualcosa dei tempi di lievitazione del suo lavoro? Non parlo della pubblicazione ma della stesura del suo articolo, la valutazione avviene sempre immediatamente dopo l’esperienza? C’è una differita tra il mangiare e lo scrivere del mangiare. Chi scrive di cinema può riavvolgere per cogliere i particolari, lei no. Come ha esercitato una buona memoria per poter mettere per iscritto i testi senza prendere appunti sul posto e trascurare nulla poi?

Occorre un breve periodo di decantazione. In genere, basta una notte per far venire a galla i tratti salienti del ristorante che debbo raccontare. Io immagino il mio lavoro come una piccola indagine poliziesca. Durante il sopralluogo si raccolgono gli indizi. Ma poi, vanno messi in relazione per trovare il bandolo della matassa. Quanto alla memoria, mi fido dell’istinto. Mi dico che quel che ho dimenticato, in genere, non è utile all’indagine. Se, però, colgo prova importante che temo di scordare, vado in bagno a prendere appunti in segreto. Non lo faccio spesso, per non sembrare un anziano con problemi di prostata.


Nei suoi pezzi io apprezzo molto l’utilizzo di analogie e metafore ma soprattutto l’ironia. Io sono fermamente convinta che chi è serio ride e che chi non sa ridere sul serio non sappia vivere davvero. La trovo d’accordo?

Completamente d’accordo. Anche il mio costume di scena, goliardico e grottesco, è ispirato a questa filosofia. Mi serve per non dimenticare mai che il lavoro va svolto con serietà, ma senza prendersi troppo sul serio.


Nella introduzione alla sua figura ho menzionato Anton Egò, un critico gastronomico della Disney, tra i personaggi del film di animazione Ratatouille. Sta roteando gli occhi? Lo ha visto? Spero di sì perché è molto carino. Si è appoggiato la mano in fronte? Ha mai ritrattato una sua recensione? Cosa pensa delle seconde possibilità?

Amo i film di animazione e non mi sono lasciato scappare Ratatouille, che è un piccolo capolavoro. Egò è un personaggio molto buffo. Ma non si può dire che ponga in buona luce noi critici. Non siamo sadici in attesa di vittime sulle quali sfogare le nostre frustrazioni. Io svolgo soltanto il mio compito professionale. E se talvolta mi tocca d’essere severo, non c’è nulla di personale. Mi limito a dire la verità, tutta la verità nient’altro che la verità a beneficio dei lettori. Ovviamente, si tratta di una verità personale, suscettibile di errori ed omissioni. A parte il fatto che le recensioni sono foto istantanee di un paesaggio in continuo movimento. Per tutto ciò, sarei un pessimo critico se non lasciassi le porte aperte a una seconda possibilità.


Io non riuscirei mai a fare il suo lavoro. Io non mangio i capperi e le acciughe, lei è onnivoro per contratto. Come riesce a trovare un equilibrio tra quel che preferisce come gusto personale e ciò che conta per i suoi lettori? Io credo sia proprio uno dei punti chiave che differenzia lei, professionista, da altri (potrei dire food influencer ma non lo dirò).

La critica, in qualsiasi campo la si svolga, comporta uno scollamento dalle proprie posizioni preconcette. Non è facile. Ma è d’obbligo fare un passo a lato, per stabilire un punto di osservazione diverso da quello che ci detta l’istinto. E perché mai? Dirà lei. Glielo spiego. Noi scriviamo per i lettori, i quali non costituiscono un campione omogeneo. Dobbiamo cercare di rispondere con la massima oggettività alle istanze di un pubblico incalcolabile e composito. Si faccia un passo a lato, dunque, ma uno soltanto, per non sconfinare nel qualunquismo o nella acriticità. Tra le qualità indispensabili a questo lavoro, c’è senz’altro il coraggio di esprimere le proprie opinioni.


Le dico una cosa: sono di Venezia. Sapevo che l’avrei sorpresa, la mia pronuncia perfetta non rivela dettagli di provenienza. Ha presente lo street food? Ha presente, lo so. Avevo intuito ne avesse scarsa opinione, leggendo qui e là. Ci sono rimasta un po’ male perché qui abbiamo i Bacari, piccole osterie dove usiamo rinfrancarci a ombre, polpette e cichéti. Potrei passare la vita a mangiare così ma lei una Bacarata di quelle vere, a Venezia, la ha mai fatta? Prenderebbe in considerazione?

Mia nonna era di Cannaregio, cara putea. E se le avessi detto che nei bacari c’è lo street food, mi avrebbe guardato con compassione, dicendomi: “Poareto”.

Quando era piccolo cosa sognava di fare di grande e da grande?

Fin dai primi vagiti, ho sempre saputo di avere uno straordinario talento: il bel canto. Eppure, l’ho sempre trascurato, privilegiando attitudini più incerte, ma di più confortante prospettiva. Prima il disegno, poi la recitazione. Mediocre in entrambi i cimenti, ho ripiegato sulla scrittura, che in fondo attinge a tutti i campi della espressività umana. Tuttavia, resto un cantante mancato. Anzi, uno dei più grandi cantanti mancati di tutti i tempi.

Uno dei romanzi che ha scritto è Il mestiere del padre, ancora non lo ho letto ma lo farò, intanto le domando quanto è stato edificante per il suo mestiere e per la sua crescita avere il papà giornalista.

Quando mio padre è morto, non ero ancora un uomo, ma un ragazzotto di venticinque anni in cerca di se stesso. Sono invecchiato in una notte. Ma c’è voluto del tempo per ritrovare dentro di me i suoi insegnamenti. Li ho raccolti un pezzo per volta. Il rigore morale, la lealtà, la passione per le parole, la meccanica della sintassi, il vigore dei testi, l’ironia, la cultura del lavoro, inteso come impegno costante, senza sconti o remissioni.


Vorrei domandare anche quanta forza le è servita alla morte del papà per lavorare sui suoi appunti, trovare una lucidità e un nuovo equilibrio. Vorrei chiederle se è vero che sopravvivendo a un grande dolore, il dolore che niente sarà mai come prima, riusciamo a tirar fuori il nostro meglio.

Non ho la controprova. Ma credo che non avrei studiato con altrettanta ferocia i lavori e gli scritti di mio padre, se non fosse scomparso così presto. Tra tre anni, avrò la sua stessa età. E, se ne avrò la forza, mi guarderò indietro per tirare le somme di una vita che ho riempito di sogni e di errori.


So che non segue i programmi di cucina ma credo ne abbia buona nozione, ha presente quelle situazioni in cui dei grandi chef valutano chef esordienti, oppure quando degli chef vanno a fare visita ai ristoratori e poi votano, quelli che vanno a casa della gente e poi fanno le pulci alla cena? Io mi rattristo quasi sempre per l’interazione tra le persone in quei programmi. Dicono cose che non mi direbbe neppure mio fratello e con mio fratello ho un buon livello di confidenza, ci mandiamo a quel paese, se necessario, in dialetto Veneziano. Credo mi turbi il limite di educazione e rispetto. Le domando, alcuni degli chef che si sentono criticati in modo ingiusto da lei, sono le stesse persone che poi saltano su ai concorrenti dei programmi?

Gli chef sono esseri umani, anche se i miei colleghi li dipingono come divinità. E, in quanto tali, amano che gli si lisci il pelo. Noi giornalisti li abbiamo abituati male manifestando quotidiano servilismo. Ma la nostra è una modalità espressiva che in televisione funziona poco. Si preferiscono modi ruvidi e brutalità sergentesche. Trovo deprimenti entrambe le formule.


Ci sono recensioni negative dei romanzi e io ho visto autori di romanzi stroncati (o peggio, i loro fan) lancia in resta a spiegare cosa il recensore non ha capito. So che questa dinamica si verifica anche col suo mestiere. Perché? Lei lo ha mai visto Lino Banfi spiegare le battute?

Le recensioni negative dei ristoranti non esistono, perché non esistono i critici gastronomici. O, meglio, esiste nominalmente il ruolo; manca la funzione. Però, è verissimo che molti chef ragionerebbero in quel modo. Proprio su questo punto, ebbi una conversazione telefonica discretamente animata con Gualtiero Marchesi.
“Se lei non apprezza un mio piatto”, sosteneva, “significa che non l’ha capito”. Siamo stati noi giornalisti del food a consegnare la patente di infallibilità a certi cuochi, divinizzandoli. In altri ambiti, la critica gode di ben altra considerazione.
Anni fa, mi capitò di conversare con Giuseppe Pontiggia, scrittore e grande critico letterario, il quale mi disse:
“La risposta più frequente degli autori, quando rilevo quel che giudico un’incoerenza, un manierismo o una falla nei loro scritti, è: Ma guarda che è voluto. E io gli rispondo: proprio questo è il problema, caro, hai voluto la cosa sbagliata.


Ho un’ultima domanda, lei esce di casa vestito così o si trasforma strada facendo? Nella seconda ipotesi… io ho avvertito un profondo disagio con l’eliminazione delle cabine telefoniche, lei come ha fatto?

In tempo di pace, mi cambiavo in tassì. Destando non poche preoccupazioni negli autisti. Da quando c’è l’emergenza sanitaria, giro inosservato nel mio costume nero. Una maschera tra le mascherine.


«…e a Dio piacendo, arrivederci a domani»

Mi dica che sta sorridendo! Ci tengo.

Certo che sorrido! Guerrino Maculan è uno dei miei idoli televisivi. Così mite e pacioso. È lo zio che tutti vorremmo andare a trovare ogni domenica. A dio piacendo.


Io non le chiedo altro a parte, ovviamente, un suo prezioso consiglio di scrittura.


Giacché abbiamo parlato di mio padre, riporto un suo prezioso consiglio: “Devi scrivere sempre come se stessi sorridendo. Anche quando affronti una tragedia”.
Non mi fu subito chiaro cosa intendesse. Col tempo, ho compreso che voleva indicarmi la via di una scrittura densa, ma rapida, agile, ostile alla retorica e ai manierismi. Cerco sempre di non tradire questo impegno.


Non so se riuscirò mai a esprimere tutta la mia gratitudine per il suo tempo e la sua gentilezza.

Grazie di cuore!

Ma grazie a lei, perbacco.

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